Si chiamava Stella. Come quella che ha guidato il viaggio dei Magi, nella notte dell’Epifania è finalmente arrivata a posarsi.
Il cielo che ha percorso nei suoi 94 anni ha attraversato la nebbia dell’emigrazione, l’oscurità della guerra, il buio della perdita degli affetti. Ne ha forgiato il carattere, che a tratti poteva sembrare anche ruvido: in realtà, chi andava oltre la scorza incontrava una donna grande come una montagna, piegata nel corpo ma non nello spirito; una donna che ha amato le case del suo paese, senza smettere di sentirsi cittadina del mondo, in particolare di quelle missioni – in Tanzania come in Brasile – che portava nel cuore.
Ha voluto bene alla Chiesa con la santità e la saggezza della gente semplice, radicata nella tradizione e libera interiormente. I preti vanno e vengono: se trovano comunità ancora riunite attorno al Vangelo, lo devono – lo dobbiamo – alla fedeltà, alla preghiera e al servizio feriale di persone così.
La povertà le aveva insegnato la condivisione: intuiva che lasciare l’altro senza cibo e assistenza, esporlo alla violenza e all’intolleranza, compromette non solo la sua sopravvivenza, ma anche lo stesso spessore della nostra umanità.
Di questa, nell’ultimo tratto, ha sperimentato il riflesso nella premura di compaesani e sanitari, nella dolcezza creativa di chi ci ha permesso di superare, almeno con il telefono, la distanza e l’isolamento di questa terribile stagione.
Possa ora ritrovare i propri cari e risplendere nel Cielo del suo Signore.
La luce che ci ha donato contiene un’indicazione di cammino che non si spegne.
don Ivan, 6 gennaio 2021